In un mondo di immobile staticità, c’è chi ha il coraggio di muoversi
Per cacciare le antilopi di cui si nutrono, i “Boscimani” sono in grado di inseguirle di corsa finché gli animali, affranti, non si fermano, diventando facili prede. Per questo popolo, che vive nelle immense distese dell’Africa Meridionale da molti millenni, la corsa è necessaria per la sopravvivenza, dal momento che, lì, ogni pasto è di fondamentale importanza. Ma a noi, uomini occidentali del XXI Secolo, a che cosa serve correre? Perché mai un giovane dovrebbe preferire la corsa ad altre attività molto meno faticose e, in apparenza, più redditizie?
È questo un interrogativo che io mi sono sentito porre più volte, ora da compagni di scuola, ora da parenti, ora da altri ancora. Già l’idea che, come “riscaldamento”, prima di iniziare ad allenarsi sul serio, si percorrano quattro o cinque chilometri di corsa risulta incomprensibile per molti. E se si considera che buona parte della popolazione corre solo quanto basta per non perdere l’autobus, non ci si dovrebbe stupire troppo del loro sbigottimento. I valori della società attuale, in cui ci troviamo a vivere, sono assai diversi dai crismi che caratterizzavano l’atteggiamento passato nei confronti dello sport.
Tale considerazione ci riconduce alla domanda iniziale. Nel mondo moderno, la corsa sembra quasi superflua, un pleonasmo del passato. Poi, qualcuno potrebbe obiettare, esistono sport “più divertenti”, come il calcio, il tennis o la pallavolo. Ammettiamo pure che ciò non sia falso, ci sono tutta una serie di motivi di ordine fisico a giustificare una simile attività: il mantenimento la “forma”, il miglioramento delle condizione di salute, la generazione di preziose endorfine e via dicendo. Per diversi individui, questi semplici fattori possono essere di estrema rilevanza, dal momento che costituiscono una cura, spesso più piacevole e più naturale rispetto ai farmaci, a diverse patologie.
Tuttavia, non è questo ciò che spinge i giovani, nella maggior parte dei casi, ad indossare le “chiodate” ed a gettarsi in una campestre. La corsa è un’occasione straordinaria per incontrare altre persone con cui si condivide un certo ideale di vita, una vera e propria “weltanschauung” come avrebbe detto il filosofo tedesco Dilthey. Solo chi è disposto a faticare ed ad impegnarsi, sacrificando una discreta parte del proprio tempo libero, intraprenderà l’atletica. Questa, però, non sta solamente nell’attività fisica di per sé, ma consiste in molto di più. Mi ha stupito, per esempio, come, di ritorno dai campionati italiani di campestre, tenuti a Varese, nel camioncino si sia parlato per cinque ore consecutive di corsa, con tutto ciò che ne consegue; questa è una chiara dimostrazione di quanto vi sia dietro allo sport stesso.
Una gara di corsa è come la vita di un uomo. Stupisce questa affermazione? La nostra esistenza parte con la nascita e termina con la morte, ma siamo liberi di interpretare come meglio possiamo ciò che si trova fra questi due estremi. Lo stesso vale per una competizione di atletica: si parte con lo sparo dello starter, si finisce con l’arrivo, tuttavia sta a noi gestire al meglio la gara stessa. Questa analogia non vale per buona parte degli altri sport. Nella corsa, difatti, ognuno è da solo, anche quando corre in squadra, ma deve confrontarsi con tutti gli altri. Altrove, non è così. E per un giovane, che si trova ad avere tutta l’esistenza davanti, l’atletica diventa una grandissima scuola di vita, dove, quando cade, può rialzarsi e continuare a cacciare la sua antilope.
Matteo Zanini Astaldi
Marathon Trieste